Incontro – testimonianza
con
Rosy Canale
coautrice del libro
”La mia 'ndrangheta”
Martedì 12 febbraio 2013 - ore 21.00
Cinema ARCI Via P. L. da Palestrina - FR
con
Rosy Canale
coautrice del libro
”La mia 'ndrangheta”
Martedì 12 febbraio 2013 - ore 21.00
Cinema ARCI Via P. L. da Palestrina - FR
Produzione di saponi artigianali e ricamo per combattere la criminalità
organizzata e portare la legalità a San Luca, in Calabria, roccaforte della 'ndrangheta.
Questa la missione di Rosy Canale, imprenditrice calabrese di 38 anni che ha
deciso di lottare la malavita utilizzando come arma la cultura del lavoro. A
raccontare la storia di Rosy è il blog La nuvola del lavoro del Corriere.it.
Rosy Canale era proprietaria di un locale a Reggio Calabria che è
stata costretta a chiudere per non cedere alle minacce della 'ndrangheta che
avrebbe voluto trasformarlo in una base per lo spaccio di stupefacenti. La
donna si ribella alla criminalità organizzata, riceve minacce e viene
aggredita.
Dopo essere stata ridotta in fin di vita dai suoi aggressori, Rosy decide di
lasciare la Calabria,
ma poi torna. Nel 2007 si trasferisce nella Locride, a San Luca, roccaforte
della ‘ndrangheta, dove fonda il Movimento donne di San Luca e della Locride.
Obiettivo dell'associazione è quello di salvare madri e figli dalla
criminalità e diffondere, attraverso il lavoro, la cultura della legalità
in una terra dove il tasso di disoccupazione femminile è del 13,6%. Rosy apre
dunque dapprima una ludoteca e in seguito crea un laboratorio per la produzione
di saponi artigianali e uno di ricamo.
Adesso però la crisi ha colpito l'associazione. Ecco perché
l'imprenditrice lancia una denuncia alle istituzioni: “Ci hanno lasciate sole,
speravamo di ricevere aiuto, almeno nella fase di start up e invece nulla.
Vogliono combattere la criminalità, rilanciare il Sud, ma solo a parole”.
Malgrado la tentatizione di mollare tutto, Rosy assicura però che l'impegno
dell'associazione rimarrà alto: “fermarsi sarebbe come urlare al mondo Viva
la ‘ndrangheta”.
A.P.
Portare cultura del lavoro e sviluppo dove questi valori non
esistono perché alla legalità si preferiscono le leggi non scritte della
malavita. Un’impresa ardua, ma non per Rosy Canale, imprenditrice calabrese
38enne che ha fatto della lotta alla ‘ndrangheta una missione di
vita.
A lei lavorare piace da sempre: “ero proprietaria e gestore di un
locale a Reggio Calabria -racconta Rosy- inaugurato e fatto crescere con tanti
sacrifici” ma un giorno è costretta a smettere. La criminalità
organizzata la prende di mira, vuole che il suo locale diventi una base per lo
spaccio di droga. Lei si ribella, loro la minacciano.
Una sera Rosy sale in macchina dopo aver finito di lavorare, ad attenderla
ci sono due aggressori. “Mi hanno picchiata fino a ridurmi in fin di
vita -racconta- Ho capito che lì non ero più al sicuro”. Lascia la Calabria, ma alla fine
decide di tornarci, e non in un posto a caso.
Nel 2007 si trasferisce nella Locride, a San Luca, roccaforte della
‘ndrangheta. “Volevo dare un’altra chance alla mia terra -spiega- Ho
scelto un paese in cui la malavita comanda. Ho pensato che se un seme
riesce a germogliare nella roccia, allora può farlo ovunque”.
Qui Rosy fonda il Movimento donne di San Luca e della Locride: un’associazione
che vuole salvare madri e figli dalla criminalità e diffondere la cultura della
legalità attraverso il lavoro. “Prima ho aperto una ludoteca, un posto
sicuro per i bambini abituati a giocare con le pistole”, spiega la Canale.
“Poi ho avviato un laboratorio per la produzione di saponi artigianali e uno
di ricamo”. Lavori semplici, ma che possono cambiare la vita di chi
vive in una terra dove il tasso di disoccupazione femminile è al 13, 6% (Fonte
Istat). Le donne di San Luca oggi sono 18, hanno tra i 35 e i 40 anni.
Sono madri, mogli, sorelle di uomini vittime e carnefici della ‘ndrangheta.
Fanno le braccianti e vivono dei prodotti che loro stesse coltivano.
“Hanno creduto molto in questo progetto e nel loro lavoro”, precisa Rosy. “All’inizio
abbiamo avuto attenzione e fondi per comprare i macchinari. L’obiettivo-spiega la Canale- era dare un primo
impiego per creare occupazione, entrare nel mercato dell’equosolidale,
partecipare alle fiere di settore”.
Le cose sembravano funzionare, ma poi la crisi non ha risparmiato nemmeno
loro. “Vendiamo poco, facciamo fatica a ripagarci le spese. Non voglio
che le mie donne lavorino gratis -puntualizza- un compenso è la base
di ogni lavoro onesto”. “La difficile congiuntura economica ha reso le persone
impermeabili alla solidarietà. Prima c’era più interesse vero la nostra
realtà”.
L’imprenditrice si dice stanca e non nasconde la delusione avuta dalle istituzioni
locali: “Ci hanno lasciate sole-denuncia- speravamo di ricevere aiuto,
almeno nella fase di start up e invece nulla. Vogliono combattere la
criminalità, rilanciare il Sud, ma solo a parole”.
Rosy ammette che le cose sono sempre più difficili e la tentazione di
mollare tutto ogni tanto c’è. “Per ora proviamo, tutte insieme, a
continuare-spiega-fermarsi sarebbe come urlare al mondo “Viva la
‘ndrangheta””.
San Luca è un borgo antico, un pugno di case bianche
arroccate tra i monti della Locride. Era il paese di Corrado
Alvaro, il poeta che scriveva: “La disperazione più grande che possa
impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia
inutile”. Ma è anche la roccaforte della ‘ndrangheta, della faida tra i Nirta-Strangio
e i Pelle-Vottari, quella della strage di Duisburg, Germania, del 15
agosto 2007. Sei uomini uccisi nell’ultimo atto di una guerra tra ‘ndrine,
cominciata nel 1991. La mente dell’agguato è Giovanni Strangio:
voleva vendicare la cugina Maria, moglie del boss Gianluca Nirta,
uccisa la notte di Natale del 2006.
Le immagini di quei corpi crivellati fanno il giro del mondo e rimbalzano
anche dal televisore di una donna che ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino.
Si chiama Rosy Canale e nel 2004 è stata ridotta in fin di
vita per non essersi piegata ai clan di Reggio Calabria, che
volevano fare del suo locale il quartier generale dello spaccio di cocaina. Si
sta riprendendo dopo una lunga convalescenza e vorrebbe abbandonare quella
terra amata e allo stesso tempo matrigna. Il massacro le fa cambiare idea.
Decide di andare a San Luca, perché “se un seme riesce a
germogliare nella roccia, allora può farlo ovunque”. Si trasferisce lì e,
grazie alla vincita di un bando, comincia un corso di disegno
per i bambini. Poi apre una ludoteca all’interno di un bene
confiscato, un laboratorio di ricamo e una piccola fabbrica
di saponi in cui impiegare le donne del posto, quasi tutte
disoccupate. Il 27 gennaio 2008 nasce il Movimento Donne di
San Luca.
Oggi Rosy racconta la sua esperienza in un libro, scritto a
quattro mani con la giornalista Emanuela Zuccalà (scarica alcune pagine del volume). Presentato
anche a Milano l’11 novembre durante il Festival dei Beni confiscati alle mafie, si
intitola “La mia ‘ndrangheta” (Ed. Paoline,
19,90€) e racconta la storia di questa donna coraggiosa, senza dimenticare
il resoconto della faida di San Luca. “E’ stato un lavoro lungo – racconta
Zuccalà – io e Rosy abbiamo unito lo sguardo personale a quello più distaccato
della giornalista che vuole raccontare, con il massimo rispetto, i
fatti e le donne di San Luca”. Tra queste spicca Teresa
Strangio, madre di Francesco Giorgi e sorella di Sebastiano
Strangio, uccisi a Duisburg. “Si è presentata al funerale dei suoi
cari vestita di bianco, ha perdonato gli assassini e poco dopo la strage ha
celebrato il matrimonio della figlia. Teresa sfugge a qualunque
classificazione, non ha molta cultura, ma è una vera rivoluzionaria. E’ l’alter
ego di Rosy”, dice Emanuela.
A San Luca non c’è donna che non abbia avuto a che fare con la ‘ndrangheta.
Qualcuna ha perso il padre o il marito, qualcun’altra il figlio o il fratello.
Anche chi non ha vittime in famiglia, ha vissuto consapevolmente in condizioni
modeste per non essersi mai immischiata “con i sequestri o con la farina (la
cocaina, ndr). “Il movimento – racconta Emanuela – ha scoperto talenti
straordinari, a lungo rimasti inespressi”. L’iniziativa di Rosy ha riacceso la
speranza, ma ora ci sono molte difficoltà, mancano i
fondi e il sostegno delle Istituzioni, locali e nazionali. “’La mia
‘ndrangheta’ vuole riabilitare San Luca dalla demonizzazione
mediatica. La Calabria
non è solo una terra maledetta, ma un terreno fertile
in cui possono nascere nuove idee – spiega la giornalista – Abbiamo voluto
trasmettere una immagine coerente della ‘ndrangheta. Per qualcuno è ancora
un’organizzazione criminale di pastori, ma in realtà è una rete
potentissima con una testa e molte braccia, anche all’estero. I boss
viaggiano e usano la tecnologia. Anche le donne ora hanno ruoli più attivi”.
Nel luglio 2011, durante il processo Fehida, la Corte d’Assise di Locri ha
condannato all’ergastolo per la strage di Duisburg Giovanni
Strangio, Gianluca Nirta, Giuseppe e Francesco Nirta,
Sebastiano Romeo, Francesco Pelle, Francesco e Sebastiano
Vottari. Ci sono state anche tre condanne minori e tre assoluzioni.
“Il nostro libro – precisa Emanuela – non assolve e non condanna, è una storia,
vera, che vuole lanciare un messaggio di speranza, al di là di tutti gli
stereotipi”.
Storia e cronaca della ‘ndrangheta a
Reggio Calabria e nella Locride, attraverso il racconto personale di Rosy
Canale. Nata a Reggio, imprenditrice, vittima della mafia calabrese e viva per
miracolo, si ritrova a San Luca, il paesino dell’Aspromonte ombelico della
‘ndrangheta, ad avviare un’attività di volontariato con le donne.
Qui il suo racconto si intreccia con
quello delle donne del posto, madri delle vittime di Duisburg, sorelle di altre
vittime e carnefici di una faida senza fine.
Prima parte: Era tutto bianco. Dalla visione del primo morto ammazzato sotto casa, fino all’aggressione che quasi la uccide.
Prima parte: Era tutto bianco. Dalla visione del primo morto ammazzato sotto casa, fino all’aggressione che quasi la uccide.
Rosy Canale racconta l’adolescenza a
Reggio Calabria durante la cosiddetta seconda guerra di ‘ndrangheta, i suoi
incontri con i boss, le vecchie conoscenze di famiglia che sono pezzi di storia
della ‘ndrangheta, le minacce, la tragedia. E, in mezzo, l’amore, la figlia, il
ritratto di una società malata dal quale emergono tanti perché sul-la nascita e
l’affermazione della ‘ndrangheta.
Seconda parte: Donne in Aspromonte.
Rosy va a San Luca, a fare volontariato nelle scuole: l’unico modo per curarsi
dopo il trauma. La vita di paese, i ritratti delle donne che si riuniscono
attorno a lei, le tradizioni, l’odio atavico per i carabinieri, la storia del
Movimento Donne di San Luca fino all’assegnazione di un bene confiscato alla
‘ndrangheta per farlo rivivere con progetti sociali.
Terza parte: Dimenticare Duisburg. I
progetti del Movimento donne di San Luca, dalla creazione di una ludoteca per i
ragazzi del paese fino alla mostra fotografica allestita a New York. L’analisi
della strage di Duisburg, ancora oscura nelle sue motivazioni, e dell’ascesa
criminale della ‘ndrangheta a livello internazionale. Le testimonianze dirette
delle madri di due vittime di Duisburg.
Il libro si conclude con il
pellegrinaggio al santuario di Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, dove c’è
quella che è stata definita “la
Madonna della ‘ndrangheta”, muta guardiana di tanti summit
criminali.
Il lieto fine non c’è.
Clicca qui per vedere il servizio di Frosinoneweb al cinema ARCI: http://www.frosinoneweb.net/2013/02/13/rosy-canale-quando-ti-hanno-gi%C3%A0-ucciso-una-volta-non-hai-pi%C3%B9-niente-da-perdere/
Il lieto fine non c’è.
La denuncia dalla sua voce al cinema ARCI (di Luciano Bracaglia)
L'incontro è stato organizzato da Laboratorio Scalo.
Chi non firma i commenti, non è neanche degno di risposte...
RispondiEliminaLuciano Bracaglia, sempre con occhio vigile sulla città... Infatti la città non è di chi la governa ma di chi la vive...
Luciano Bracaglia